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CARLO PACIFICI: 90 MINUTI DI FILOSOFIA ARBITRALE

Continua la grande settimana dedicata alla formazione arbitrale presso la nosttra Sezione. Dopo il mini "concentramento" CAI Calabria-Sicilia, è toccato al Responsabile della CAN D Carlo Pacifici esibirsi in una "lectio magistralis" che ha catalizzato l’attenzione dei presenti nella gremita sala riunioni. Accolto dal presidente Lo Giudice, dal presidente CRA Giuseppe Raciti e dal componente regionale Orazio Postorino, di fronte a una nutrita schiera di arbitri, assistenti e osservatori CAN D siciliani, il dirigente laziale ha impiegato 90 minuti, il tempo di una gara, per decostruire alla perfezione la prestazione arbitrale, tanto nella vita quanto sul rettangolo verde. Pacifici nel suo excursus ha chiarito come un direttore di gara debba essere tale dentro e fuori il campo, nella vita come nello sport. Adottare l’arbitraggio non solo come mestiere, hobby, bensì come stile di vita. Uno stile in continua evoluzione, figlio dei tempi e dei cambiamenti: se prima era infatti impossibile relazionarsi col proprio Organo Tecnico, percepito quasi come una divinità, un totem indecifrabile, oggi solo attraverso lo scambio continuo tra base e vertice è possibile un arricchimento generale propedeutico al miglioramento di tutte le componenti dell’Associazione. E per quelli che ancora accusano l’AIA di essere restia al cambiamento, niente di più falso: si è passati dall’arbitro solo in campo alla presenza di ben 6 direttori di gara; ci si è adattati all’uso dello spray, ci si adatterà all’Hawk-eye. Ogni modifica del gioco sarà assimilata perché un arbitro moderno è colui che prima ancora di imparare a fischiare sa imparare a relazionarsi, gestire le situazioni e di conseguenza le novità; tanto quelle del regolamento quanto quelle del gioco: chi potrebbe dirigere bene un’orchestra senza conoscere lo spartito suonato? Solo chi mastica, chi respira calcio può essere un buon arbitro. Proprio come i tanti che arricchiscono la categoria da Pacifici diretta, quella CAN D diventata l’ultimo bastione prima del salto al professionismo, cui ognuno deve ambire, senza tuttavia coltivare obiettivi impossibili; rispondendo infatti alla esasperata richiesta di "gioventù" dei tempi moderni, il massimo dirigente arbitrale della vecchia categoria interregionale ha voluto esprimere un concetto sicuramente condivisibile: "ognuno deve maturare le giuste esperienze, perché non si può rischiare di mandare ventenni sui campi di fuoco della nuova Lega Pro; proprio in quest’ambito, alla CAN D abbiamo un compito difficilissimo, specialmente adesso che manca quella categoria intermedia che era la vecchia serie C2". Pacifici, ha concluso la sua lezione citando una massima di Pierluigi Collina: "facile è parlare di tori, difficile è scendere nell’arena". Il commento lo lasciamo al lettore, ma il riferimento ai vari esperti da bar, ai leoni da tastiera, ai coraggiosi delle tribune, è fin troppo evidente…

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Prima della riunione tecnica, Carlo con la grande affabilità che lo contraddistingue si è intrattenuto con noi, concedendoci un po’ del suo tempo per un dialogo piacevole e ricco di interessanti spunti di discussione. Nonostante i capelli ormai argentati dal tempo, il nostro interlocutore è uno di quelli "giovani dentro", e lo capiamo subito quando snocciola con la passione dei ventenni i dati di una carriera lunga e ricca di soddisfazioni: "il mio viaggio all’interno dell’AIA inizia nel lontano 1976, nella allora sezione unica di Roma popolata da mostri sacri dell’arbitraggio (Lattanzi, Longhi, Menegalli).Entrai in punta di piedi ma pian piano capi che con l’impegno avrei potuto togliermi qualche soddisfazione". E così successe, quando, una categoria dopo l’altra arrivò la massima divisione: "nel 1995 finalmente la gioia dell’esordio in Serie A. Coronamento di una carriera votata all’impegno, alla costanza e alla dedizione". Una grande rincorsa tuttavia ancora molto lontana dal dirsi conclusa: "appena uscito dal terreno di gioco, sono passato molto giovane dietro la scrivania. Anche durante l’attività avevo ricoperto ruoli all’interno della sezione, prima segretario poi cassiere, ma è nel 1996 che inizia la mia carriera da "tecnico", grazie anche all’allora presidente Lombardo, che subito mi volle come componente della Can D; poi al Settore Tecnico sotto la presidenza Gonella, e 6 anni da osservatore alla CAN".
È così che arriva l’ennesimo passaggio della sua camaleontica carriera, stavolta ad attenderlo c’è "la stanza dei bottoni": "nel 2006 vengo nominato Presidente del CRA Lazio, una regione difficile, complicata. Un’esperienza che mi prepara al quadriennio passato alla CAI, prima dell’ultimo salto come responsabile CAN D". Serbatoio inesauribile di giovani, la Serie D rappresenta un punto di confine determinante tra il prima e il dopo di ogni arbitro, ma quali sono le caratteristiche necessarie per poter ambire a "passare il guado"? "La CAN D è una categoria fondamentale per la crescita dei direttori di gara, degli assistenti e degli osservatori. Può rappresentare un punto di partenza per tanti, ma anche di arrivo per molti. Con la riforma della Lega Pro e la seguente abolizione della Seconda Divisione, le discriminanti che determinano il passaggio di categoria sono diventate più rigide; un arbitro che arriva dalla regione deve avere grande carattere, temperamento. Poi, naturalmente gli aspetti tecnici e atletico, ma soprattutto quello tattico diventa determinante; bisogna sapere di calcio, conoscere per poter gestire al meglio le situazioni". Come diceva Velotto solo qualche giorno fa, bisogna sapersi adattare come i bravi piloti di F1 sanno fare guidando su ogni tracciato del mondiale: "gli arbitri che arrivano alla CAN D passano per la "zona cuscinetto" della CAI. La selezione, seppur non rigidissima di quella categoria è necessaria per far capire ai ragazzi la logica nazionale; diceva bene Velotto, chi va ad arbitrare in un contesto come la D può trovarsi di domenica in domenica dalle 10mila persone di un qualunque campo meridionale alle 500 di una periferia del nord Italia. Allo stesso modo si può passare da un calcio più fisico a uno più giocato. L’arbitro perfetto deve essere in grado di gestire la gara indipendentemente dal contesto esterno, e soprattutto saper contestualizzare la sua direzione al tipo di gara stessa".
Partite che troppe volte purtroppo, qualunque sia la latitudine, finiscono male per chi le dirige: "il calcio diventa sempre più difficile da governare; non bisogna mai calare l’attenzione verso i fenomeni di violenza. La cosa preoccupante è che la maggior parte di questi fenomeni viene perpetrata da altri tesserati. In questi casi non c’è DASPO che tenga".
Uno dei pochi nei, all’interno di un movimento che comunque sta crescendo: "io non credo ai fenomeni, al contrario, sono convinto che la categoria stia mostrando grandi segni di miglioramento. Basti pensare che uno dei nuovi arbitri CAN PRO, appena uscito dalla nostra scuola, dopo poche settimane di rodaggio, è andato ad arbitrare Pisa – Lucchese, storico derby toscano. Significa che stiamo lavorando bene, che i frutti si vedono e le prospettive sono rosee".

Valerio Villano Barbato


 
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