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Archivio > News > 2012/2013

L'Arbitro: atleta anche mentale

Già da qualche decennio gli studi psicologici hanno fatto l’ingresso nel mondo dello sport per analizzare quella che deve essere la preparazione mentale per massimizzare la performance dell’atleta. Solo da tempo più recente si è rivolta l’attenzione anche ai direttori di gara che, oltre alla preparazione fisica e all’abilità tecnica, per il loro ruolo necessitano di un importante apporto anche mentale. La nostra Sezione ha voluto sensibilizzare i propri associati all’argomento invitando nei nostri locali, per la prima riunione del mese di Novembre, il dott. Fabrizio Di Vincenzo – psicologo dello sport.
Già collaboratore di allenatori e professionisti a livello nazionale, il dott. Di Vincenzo fino a qualche anno fa ha vestito la nostra divisa proprio per la sezione di Messina. Anche per questo, si è dimostrato molto entusiasta di poter dare un contributo alla crescita e alla formazione dei giovani arbitri.
Durante la sua esposizione ha illustrato quelle che devono essere le abilità mentali dell’arbitro: concentrazione, attenzione e controllo dell’ansia.
La prima, la concentrazione, è forse la componente principale perché permette di avere il giusto approccio alla gara evitando di sbagliare decisioni fin dall’inizio che inevitabilmente condizioneranno la partita per tutto il suo svolgimento. Bisogna innanzitutto dire che la concentrazione non migliora forzando la mente a fare attenzione. Uno dei metodi più efficaci per avere una giusta concentrazione che ci permetta facilmente di dirigere la nostra attenzione per escludere gli stimoli che possono distrarci è il riscaldamento mentale. Questa preparazione inizia prima ancora di entrare sul terreno di gioco effettuando, ad esempio, certi rituali oppure visualizzando mentalmente alcune immagini chiave come l’ingresso in campo o ancora prendendo confidenza con la propria attrezzatura.
Il giusto grado di attenzione è quello che ci permette di selezionare gli stimoli e spostare la stessa da uno all’altro mantenendola nel tempo. L’attenzione deve essere di tipo ampio, quindi rivolta a tutto ciò che succede nel recinto di gioco, ma deve sapersi trasformare in ristretta quando, ad esempio, l’azione si svolge in area di rigore. L’importante è che in ogni caso essa sia rivolta verso l’esterno, eliminando così tutte quelle sensazioni che provengono dall’interno, cioè dal proprio corpo. Ovviamente più si è preparati e pronti ad affrontare la gara, più facilmente si riesce a effettuare questo processo perché è complicato non dare peso, ad esempio, alla fatica ed al dolore. In particolare bisogna ricordare che la stanchezza fisica causa il crollo di tutti i meccanismi attentivi.
Per quanto riguarda l’ansia e lo stress questi possono essere provocati da diversi fattori: agitazione, apprensione, pensare di non essere in grado di portare a termine il compito. Le ricerche indicano che è necessario un giusto grado di attivazione fisiologica che, ovviamente, varia da soggetto a soggetto. Il controllo dell’ansia è uno dei compiti principali per diminuire la probabilità di commettere errori. Sicuramente per evitare l’ansia durante la gara serve avere una buona sicurezza di sé, possibile solo avendo la consapevolezza di essere preparati atleticamente e tecnicamente, che verrà percepita anche dai giocatori in campo e che quindi limiterà la possibilità di perdere autorevolezza.
Il dott. Di Vincenzo ha, inoltre, ricordato quanto sia fondamentale una buona capacità di relazionarsi tramite linguaggio verbale e non verbale di cui fanno parte ad esempio la gestualità, la mimica facciale, lo sguardo, il tono di voce, eccetera.
Numerosi sono stati gli interventi e le domande rivolte all’esperto dalla platea, a testimonianza dell’interesse dell’argomento oggetto della riunione. Si è, infatti, parlato anche della possibile preparazione pre-gara, di come rimediare ad una immediata perdita di autostima dovuta ad un errore e di come affrontare la pressione mentale provocata da determinate situazioni.
Al termine dell’esposizione il Presidente ha voluto ringraziare il nostro ospite per la disponibilità e lo ha omaggiato con un presente in ricordo della serata.

Rosita Janira Caputo

Fabrizio Di Vincenzo: "In Campo con la Testa"
Un’interessante chiacchierata tra le pieghe della psicologia sportiva


Seconda riunione plenaria stagionale e ancora un graditissimo ospite: il dottor Fabrizio Di Vincenzo, già associato della nostra sezione, ha impreziosito la serata con una lectio magistralis sulla psicologia dell’arbitro.
Per l’occasione abbiamo "intercettato" il collega qualche minuto prima dell’inizio dell’evento per fare quattro chiacchiere insieme.
Cordialità e gentilezza contraddistinguono questo ragazzo che partito da Messina, dove in molti ancora lo ricordano come "Hombre del Partido" di un’epica finale del torneo di Moio Alcantara, di strada ne ha fatta davvero tanta, coniugando al meglio la sua passione per il fischietto con quella per lo studio della psiche umana.
"Ai tempi della laurea a Palermo ero uno dei primi ad approfondire il tema della psicologia dello sport, poi a Roma, ho completato il mio percorso con un Master nella medesima materia presso l’Istituto di Medicina dello Sport dell’Acquacetosa". Fabrizio ci tiene subito a specificare in cosa consiste il suo lavoro, quello del Mental Trainer, figura abbastanza ignota nel mondo "pallonaro" di casa nostra, differentemente da Paesi come Spagna e Inghilterra dove è una figura sempre più importante nella formazione dell’atleta perfetto: "il Mental Trainer prima di tutto deve essere anche uno psicologo, in quanto per allenare la mente deve conoscerla. Esperimenti televisivi come quelli condotti dalla trasmissione "Campioni" di qualche anno fa, che si avvaleva di un cosiddetto Motivatore, non possono che far male a questa professione, in quanto tali soggetti tendono ad attribuirsi competenze che in realtà non possiedono". Ma allora come si fa ad allenare la mente? "Lavorando coi ragazzi, ai tempi delle giovanili dell’allora FC Messina, una parte importante del mio lavoro era costituito dall’analisi delle espressioni facciali dei calciatori e sulla loro spiegazione ai tecnici. Comprendere per tempo quando le pressioni sono eccessive deve essere compito del bravo allenatore cosi come del bravo formatore in genere, a tale scopo poi sarebbe fondamentale contribuire a creare la famosa "filosofia della sconfitta" di cui spesso sentiamo parlare". Come non essere d’accordo con lui? Senza andare a scomodare gli ormai celebri fatti di cronaca che ogni lunedì trasformano i quotidiani sportivi in bollettini di guerra, basti pensare alle partite delle categorie giovanili che sempre più spesso diventano teatro di scontri tra padri urlanti e madri isteriche: "periodicamente mi trovo a fare dei corsi agli allenatori sull’importanza del concetto di miglioramento, più che quello di vittoria. Quando un ragazzino vede evidenziati i propri errori, i propri fallimenti smarrisce tutta la voglia e la passione per lo sport, e conseguentemente l’autostima; inizia a saltare gli allenamenti e smette di frequentare la squadra".
Lasciamo il piano formativo, ed apriamo un fronte caldissimo: l’argomento del momento, ovvero l’aumento esponenziale del numero degli arbitri in Serie A: "credo che un maggior impiego di assistenti possa essere d’aiuto al direttore di gara, che poi è sempre l’unico deputato a prendere la decisione finale, sgravandolo da un quantitativo di pressione non indifferente. La velocità del gioco è tale che avere più di una persona a dirigere è cosa sicuramente positiva, non bisogna però pensare che aumentando gli occhi si elimini automaticamente l’errore. Uno, due o sei arbitri va sempre ricordato che il direttore di gara è un uomo e come tale sbaglia e sbaglierà sempre. In tal caso solo una certa cultura dell’errore, che ancora fatica ad attecchire qui da noi, potrà essere d’aiuto". Molto interessante il parere sulla tecnologia "sapere che c’è un mezzo elettronico che aiuta, e che può dire se la palla è dentro o fuori, beh in quel caso credo che ogni arbitro si sentirebbe sollevato e quindi la sua prestazione potrebbe filar via più serena". Prima di chiudere Fabrizio, sollecitato dal Presidente, ci svela quali sono, secondo lui, i due ingredienti che spingono un ragazzo a voler fare l’arbitro piuttosto che il calciatore: "innanzitutto una forte dose di motivazione, ma soprattutto, il mestiere dell’arbitro è quello che forse più di altri conduce all’autoefficacia. Quel sentimento di consapevolezza che ti fa avere la certezza di essere pronto". Essere pronti, prendere decisioni, trovarsi muso a muso con 22 avversari. Questo vuol dire essere arbitro: sportivo tra gli sportivi, atleta tra gli atleti, che fischia con la testa prima ancora che con le labbra.

Valerio Villano Barbato
con la collaborazione di Simone Intelisano


 
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